Tempo fa io e Luigir ci demmo appuntamento a Genova per il G8. Ora lo invidio, perché per motivi di varia natura a me non è possibile mantenere l’impegno. Ma qualcosa devo fare.
Ho seguito i preparativi di questo vertice e oggi ho appreso le notizie di un attentato senza paternità e visto le misure di interdizione che mettono in isolamento l’intera città.

Invidio Luigir e tutti coloro che si recheranno a manifestare sotto la Lanterna almeno tre volte: perché credo in alcune delle loro buone ragioni, perché contrariamente a me ci saranno, perché la loro presenza non sarà inutile come si vuole far credere.

Non posso sostenere di condividere tutti i motivi di chi manifesterà, sicuramente non condivido chi profitterà dell’occasione per scatenare atti di vandalismo e violenze. Sono ormai certo che qualcosa accadrà , così come sono certo che alla prossima partita di calcio quattro scalmanati metteranno a ferro e fuoco una curva. Ma non tutti i tifosi sono scalmanati e mai si bloccano treni di tifosi alle stazioni o addirittura le si chiudono ai viaggiatori come capita in questi giorni a Genova.

Mi perdonerà Luigir per questo innaturale paragone sportivo, pur sempre tanto caro alle scuole e alle pratiche delle scuole di management, nonché al Presidente Berlusconi. E’ un paragone assai improprio: negli stadi e fuori dagli stadi accade settimanalmente in genere ben di peggio di quanto con probabilità accadrà a Genova per l’ordine pubblico. L’improprietà del paragone sta proprio nel fatto che le partite si susseguono comunque e si legittimano con i tifosi e con i facinorosi, a Genova invece i tifosi sono ritenuti al Ministero degli Interni tutti potenzialmente violenti; la mano, tesa in un primo tempo, è stata immediatamente ritirata, non so quanto più improvvidamente o scientemente.

La “partita” di Genova con tutte le misure di sicurezza che l’hanno trasformata in un carcere a cielo aperto, che l’hanno isolata dall’ Europa sospendendo temporaneamente trattati internazionali, appare ora come una partita truccata in partenza. Qualcosa “deve” accadere nelle piazze, volenti o nolenti sotto le telecamere del mondo intero, tutto congiura in questa direzione.
Una elite legittima, con inusitate e sproporzionate misure di ordine pubblico, afferma che tutto può circolare nel mondo, tranne che gli uomini uniti ai loro pensieri; nemmeno tra quartieri isolati l’un l’altro con inferriate alte cinque metri, frapposte tra vicolo e vicolo. Alla televisione Genova sembra la scenografia di un fiIm carcerario. I confini che si aprono ai traffici economici , si chiudono parzialmente alle persone. Il mondo è rinchiuso nell’angustia di un vicolo, il cosmopolitismo è questione di roba.. Genova è un Quartier Generale e il suo libero statuto cittadino per alcuni giorni è sospeso dagli Stati Maggiori.

Queste misure mostrano un claustrofobico rigore che trasforma l’antica Repubblica Marinara in un fortilizio impenetrabile e in un da film da fantascienza dove spazio, tempo, aria e terra sono cintati angustamente.
In me, vedendo tutto ciò, è cresciuta ansia e angoscia, quasi Genova e l’Italia fossero poste sulla frontiera tra Israele e Palestina in una guerra vera. Un nuovo muro di Berlino mi pare sia stato eretto, sebbene mobile. Vedendolo mi chiedo se la sua mobilità non sarà segno di permanenza flessibile , piuttosto che di temporaneità ed eccezionalità. Mi chiedo ancora se questo muro non sia in costruzione direttamente dentro le nostre coscienze sfruttando un uso iperbolico e quasi paranoide del bisogno di sicurezza che c’è in tutti noi.

Ben comprendo l’importanza e la delicatezza di questo vertice e i pericoli di terrorismo che agitano nuovamente il mondo, ma quello a cui assisto mi sembra un incentivo a delinquere per i facinorosi che hanno la violenza nel DNA, per i delusi che hanno creduto nella mano tesa delle autorità, per i semplici che sentono traditi i loro buoni diritti di non essere d’accordo, per gli esaltati di ogni risma che si si sentiranno santificati da una sfida estrema e ardua, per tutti i romantici che ricordano che da quelle parti sullo scoglio di Quarto un esaltato partì con mille eroi. Il senso di sfida o di umiliazione, il desiderio di rivalsa, radicalizzeranno qualcuno in più, piuttosto che contenerne i gesti. Mi pare insomma una cronaca annunciata perché alzando la posta in gioco si alza non solo il prezzo, ma anche la gloria della conquista del trofeo.

C’è una prova di forza in atto, una regia d’immagine tanto studiata , un tam tam di atti e di misure di scoraggiamento, che mi lasciano perplesso e per molti versi indignato. Una simile esibizione di misure a maglie strette d’acciaio, fa crescere la mia indignazione più che rassicurarmi che cresce di pari passo col desiderio di non volermi sentire impotente. Credo molti proveranno questi sentimenti ambivalenti.
Come molti seguirò quella che sempre più è una kermesse televisiva, dove ben so’che l’esibizione del fatto esemplare ,dell’intento roboante , la rassicurazione perentoria sulle deliberazioni ufficiali tenterà di umiliare l’utilità di qualsiasi proposta o pensiero contrario a questa Yalta televisiva. Ma ben so anche che poco capirò di quello che realmente succederà, non essendo fisicamente in quel luogo.

La diretta televisiva tra i tanti pregi ha il difetto di eccitarsi più della folla, perché amplifica ogni cosa. Eccitarà poi gli eventi, ricostruendo una apparente sterminata moltitudine di gesti in finestre e in reiterazioni : così una infima parzialità apparirà come una totalità certa, assoluta e abnorme. La pluralità degli accreditamenti televisivi è fortunatamente una buona garanzia, ma le immagini emblematiche sono pur sempre poche e semplificatrici.
Anche per questo a ben vedere invidio quindi tutti coloro che a Genova, ben sapendo di non essere decisivi sulle sorti di quei 9/10 della popolazione del mondo forzatamente esclusa dal tavolo degli otto, comunque andranno sforzandosi di manifestare ostinatamente e pacificamente le loro opinioni.

Guardando la Genova medioevale ingabbiata nei caruggi, più che l’Era dell’Acquario intravedo l’avvento di un nuovo Medio Evo. Probabilmente esagero, ma dalla testa proprio questa sconsolata impressione non mi lascia. E’ un controsenso pensare il mondo come un enorme libero teatro e assistere poi alla blindatura di accessi di una intera città in via preventiva , sulla base di qualche sassaiola del passato. Solo in tempo di guerra le città sono confiscate.

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